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UOMINI CONTRO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 marzo 1972
 
di Francesco Rosi, con Mark Frechette, Alain Cuny, Gian Maria Volonté, Franco Graziosi, Giampiero Albertin (Italia, 1971)
 
Da LA SFIDA (la corruzione), a SALVATORE GIULIANO (la mafia), da LE MANI SULLA CITTA' (la speculazione edilizia) a IL MOMENTO DELLA VERITA' (la dissacrazione della tauromachia) il cinema il Rosi evolve in due direzioni: il suo stile si semplifica sempre di più, il carattere di denuncia acquista invece un tono sempre più esplicito. La protesta diventa evidentissima, la maschera dell'aneddoto, il gioco del simbolo sempre di più viene rifiutato.

In UOMINI CONTRO questa tendenza della carriera di Rosi raggiunge il suo apice; ed a questo momento rispondono i pregi, non indifferenti, ed i limiti del film. Sarebbe un errore vedere in questo episodio della guerra fra italiani ed austriaci nel 14-18 un semplice film antimilitarista o pacifista, o peggio ancora il semplice ritratto di un generale psicopatico (come non pochi, et pour cause, hanno cercato di fare). A differenza del celebre film di Kubrick, ORIZZONTI DI GLORIA al quale è impossibile non riferirsi (non fosse che per le similitudini dell'ambiente, e di molti temi), il fulcro del dramma non è un individuo, ma una società, una casta. E non solo la casta militare. L'abilità di Rosi sta nell'aver saputo inserire nel contesto esasperato del campo di battaglia, con il corollario tradizionale della problematica sull'eroismo, l'obbedienza, la patria, gli onori, la dignità, la vita, ecc.) quello ancor più vasto delle differenze sociali. E senza dubbio, sotto questo aspetto, UOMINI CONTRO rappresenta quanto di più approfondito è stato fatto nel cinema finora, per osservare come in guerra si ripropongono le situazioni sociali dei tempi chiamati di pace.

La tesi di Rosi è che il tiranno, o i tiranni, non stanno da una parte piuttosto che dall'altra. Sono gli stessi, indifferentemente al di qui o al di là del filo spinato, in tempo di guerra ma anche di pace. La guerra serve soltanto ad acuire i problemi: ma il richiamo è continuo alla realtà quotidiana, che non è sicuramente per il regista quella "pace giusta" che uno dei protagonisti reclama alla fine. L'accusa di Rosi si rivolge quindi non ad una mentalità, quella militaristica, ma ad una società, ad una aristocrazia che nel film è continuamente contrapposta al coro dei soldati. Con il sapore del loro dialetto e del ricordo della terra, con un rispetto dell'individualismo che sempre di più diventa impossibile, utopistico. Bagnato di una luce verde, come il marcio della morte che è ovunque, avvolto in una nebbia che conferisce agli avvenimenti una sapiente eternità, il film è condotto in uno stile pacato, in contrasto con il furore degli avvenimenti e della polemica. Uno stile anonimo, anche se più che dignitoso. E forse questo anonimato è stata voluto dal regista, teso alla ricerca della protesta pura, della denuncia non contaminata da (presunte) tentazioni stilistiche.

Ciò non toglie che questa decisione, sia essa voluta od imposta, condiziona l'aspetto globale di un'opera per molti versi ammirevole. L'indignazione di Rosi sembra a volte stemperarsi nell'affresco totale, o addirittura sciogliersi nella schematizzazione eccessiva di certi personaggi negativi. Manca, in questo film intelligente e moderno l'impennata rivelatrice, il momento - sintesi che appartiene al grande cinema, l'intuizione geniale che colpisca emotivamente lo spettatore in modo indelebile. Penso, ad esempio, ad una sequenza di ORIZZONTI DI GLORIA che si ritrova più volte in UOMINI CONTRO: la visita alle trincee del generale. Kubrick la riprese una volta sola, in una lunga, interminabile carrellata all'indietro che riprendeva il generale dal basso; e che in pochi istanti diceva tutto sull'uomo e sulla situazione.

Il cinema di Rosi, dai tempi di SALVATORE GIULIANO mi sembra assumere sempre di più il tono di una coraggiosa e nobile presa di posizione, che sempre ha rappresentato una costante della carriera del regista, ma di spersonalizzarsi dal profilo artistico. Ed il cinema può essere sì una tribuna: ma legata ad una sua autonoma e personale ricerca linguistica. Se i due aspetti non coesistono (e non dico che in UOMINI CONTRO siano del tutto scomparsi) il giocattolo non funziona più. E' un rischio che l'impegno morale del cinema di Rosi non si merita.


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